Sergio Boschiero
Home
Biografia
Scritti
Galleria
Discorsi storici
Novità
 
I funerali del Re
 





LA SACRA SINDONE E HITLER - L'ABBAZIA DI MONTEVERGINE


ESERCITO E BRIGANTAGGIO. LA STORIA DI UN COMUNE RIBELLE E DEL MASSACRO DI 44 SOLDATI ITALIANI


IL 150° DELLA PROCLAMAZIONE DEL REGNO D'ITALIA (2011)

UMBERTO II
di Sergio Boschiero

Il mio primo incontro con il Re fu molto formale, a Montepellier, nel 1953. Facevo parte di una delegazione dell’U.M.I. di Vicenza, partita in pullman, e si andava a rendere omaggio alla Regina Elena scomparsa l’anno precedente. Avevo 17 anni e, dando la mano al Sovrano, lui mi fece delle domande riguardo la mia provenienza e la mia famiglia. Mi diede del Tu. A lui devo tanto, probabilmente la mia vita avrebbe preso un’altra strada se non fosse stato per il Suo diretto interessamento. Nel 1960 organizzai a Vicenza una manifestazione del Fronte Monarchico Giovanile. Presenti le LL.AA.RR. la Duchessa madre Irene d’Aosta e il figlio Amedeo di Savoia, Duca d’Aosta. La manifestazione ottenne un tale successo che l’allora Ministro della Real Casa Falcone Lucifero, il quale accompagnava i Duchi, ne parlò in toni entusiastici a Sua Maestà. Fu proprio per volere di Umberto II che mi venne proposto di trasferirmi a Roma per guidare il Fronte, così avvenne, e da allora ho dedicato la mia vita alla Causa monarchica.

Dopo il mio trasferimento a Roma i contatti con il Re divennero molto frequenti. Non passava settimana senza che ci sentissimo, anche tre o quattro volte. Per motivi dell’Associazione il Re mi convocava spesso a Cascais o all’Hotel Splendid di Nizza, era interessatissimo alle nostre attività e l’UMI gli permetteva di avere un contatto ancora più diretto con gli italiani ai quali era legatissimo. Oltre agli aspetti istituzionali ho potuto apprezzare alcuni lati molto umani del Re che credo sia giusto ricordare, con qualche aneddoto del quale sono stato testimone diretto, dopo le ricostruzioni storiche alle quali abbiamo avuto il piacere di assistere poc’anzi.

Il Re amava così tanto gli italiani che nel 1968, a margine di uno dei numerosi incontri che il Sovrano teneva a Cap Ferrat o a Beaulieu sur Mer per concedere udienza ai monarchici che gli volevano rendere omaggio, un ragazzo del Fronte, con toni educati ma animosi e coloriti, si lamentò con me del fatto che i comunisti di Genova avevano creato dei problemi per l’affissione dei manifesti monarchici nel capoluogo ligure. Il Re, che non gradiva sentir parlare male di nessuno, lo interruppe dicendo “sono italiani anche loro”. Ovviamente questa Sua espressione ci gelò e rimanemmo in silenzio, capendo la lezione di alto senso della Patria che il Re aveva dimostrato.

Il Sovrano apriva la porta di Villa Italia a tutti gli italiani che giungevano in Portogallo, spesso proprio con l’obiettivo di rendere omaggio all’amato Re. Non ha mai fatto distinzione di provenienza geografica o appartenenza sociale: Umberto II accoglieva tutti, sempre con il sorriso sulle labbra e con la gioia di potere avere testimonianze dirette dell’Italia. Una particolarità del Sovrano era che con l’umiltà e la semplicità che lo caratterizzavano, riusciva a mettere tutti a proprio agio. Mi è capitato di assistere ad una scena che ha dell’incredibile ma che dimostra la grandezza del Re Umberto II. Mi trovavo a Cascais per una delle mie abituali udienze con il Sovrano e una coppia di sposi di mezza età, che si trovava di passaggio per il Portogallo, aveva bussato al portone di Villa Italia per vedere se fosse possibile rendere omaggio al Sovrano. Il Re fece di più e li invitò ad unirsi a cena con noi, lì a Villa Italia. Eravamo in quattro al tavolo, più il cameriere. Si potrebbe fare il raffronto oggi nell’andare a cena con un qualsiasi politico… sarebbe ben più complicato! La grandezza del Sovrano si manifestava in queste piccole cose. La cena procedette nel migliore dei modi fino a quando, in concomitanza con un ottimo secondo di pesce, il cameriere portò anche quattro coppette lavadita con uno spicchio di limone in ognuna. L’uomo, con semplicità, prese la coppetta e la portò alla bocca, bevendone l’acqua. La moglie, visibilmente impacciata per l’augusto commensale e timorosa di fare qualcosa di azzardato, imitò il marito. Il Re rimase attonito per un momento, era più che comprensibile la difficoltà di azione in una simile circostanza ma, per evitare di creare disagio ai propri ospiti e di metterli in imbarazzo, prese a sua volta la coppetta lavadita e l’avvicinò simbolicamente alla bocca. Ovviamente non bevve ma con un semplice gesto ha fatto rientrare con maestria una situazione così particolare.

Purtroppo, quando le condizioni di salute peggiorarono (e siamo all’inizio degli anni ’80) la situazione cambiò notevolmente ma il Re mantenne sempre questo suo modo di fare che metteva a proprio agio l’interlocutore, anche se sconosciuto fino a qualche istante prima.

Mi trovavo con il Sovrano in un caratteristico locale di Cascais con un gruppo di italiani e stavamo aspettando che ci servissero la cena. Il Re sorrideva ma lo vedevo già stanco e affaticato. Gli italiani stapparono una bottiglia di Porto in omaggio al Sovrano e il Re, non potendo rifiutare, per evidenti ragioni di salute centellinava il vino, appoggiando il bicchiere alle labbra. Mi accorsi però che, con estrema nonchalance, abbassava la mano che teneva il bicchiere e faceva cadere piccole quantità del vino in un vaso con una pianta adiacente al tavolo. Nessuno degli altri convitati se ne accorse ma la cosa mi turbò particolarmente. Sarebbe morto di lì ad un anno.

Infatti, nel 1983, con il Re già ricoverato presso la London Clinic, capimmo che il tempo non sarebbe stato abbastanza ed era necessario tentare il tutto per consentire al Re di morire nella nostra Italia. Da Roma mi mossi con tutti i contatti possibili e puntai direttamente ai Palazzi del Potere. Volli tentare di aprire, per l’ultima volta, un canale diretto con tutti i partiti nella speranza che si compisse il miracolo. Incontrai per primo Pietro Longo dei Social-democratici che si è dichiarato addirittura monarchico e mi dette la massima disponibilità per far tornare il Sovrano morente in Italia. L’onorevole Costamagna, democristiano già presidente dell’U.M.I., organizzò un incontro tra l’On. Adolfo Sarti (altro democristiano monarchico) e Cossiga per discutere della questione. Il futuro presidente della repubblica ci fece chiedere se il Re sarebbe stato disposto a riconoscere la repubblica e, assieme a Falcone Lucifero, optammo per lasciare cadere il canale. Incontrai più volte Oscar Mammì del Partito Repubblicano il quale si definiva favorevole al ritorno dei Savoia ma ribadiva orgogliosamente la propria appartenenza ideologica.

Importanti furono gli incontri con Bettino Craxi e con Giorgio Napolitano. Craxi mi ricevette nel giro di poche ore, fu estremamente cortese e mi chiese quale fossero concretamente gli altri ostacoli oltre allo scoglio costituzionale. Io gli risposi che nessuno si metteva d’accordo sul modo di procedere e che Pertini richiedeva di essere chiamato “Presidente” dal Re. Craxi esclamò perentorio: “Ah, questi vecchi!”. Me ne andai con la promessa che avrebbe riunito la giunta del Partito socialista per discutere.

Tramite Costamagna, Napolitano mi diede appuntamento presso la sede del gruppo parlamentare del partito Comunista Italiano. Ancora mi ricordo il suo vestito in grigio fumo di Londra, era un uomo poco loquace ma mi faceva un sacco di domande. Nel corso del colloquio mi ha contestato il fatto, da me portato come esempio, che a Napoli il PCI aveva firmato un ordine del giorno del consiglio comunale per il ritorno dei Savoia viventi e delle salme, con le firme di tutti i consiglieri tranne due. Mi congedai promettendogli che gli avrei fatto arrivare il documento. Incontrai anche Zanone del Partito Liberale Italiano, Marco Pannella e Giorgio Almirante che - da amici quali erano - spalancavano ogni porta. Arrivai persino al Quirinale, dove ebbi un appuntamento con il giornalista Antonio Ghirelli, Capo Ufficio Stampa della presidenza della repubblica. L’ex direttore del “Corriere dello Sport” si dimostrò estremamente disponibile e mi chiese di fargli pervenire la documentazione sulla questione Umberto, che lui avrebbe fatto personalmente vedere al presidente Pertini. Dopo tutti questi colloqui, dei quali informavo prontamente il Ministro della Real Casa Falcone Lucifero, che sembravano lasciar trasparire una tiepida disponibilità da parte della politica, il problema di cambiare la costituzione rimaneva un qualcosa di complesso che richiedeva il suo tempo. Venne fissata una seduta del parlamento per discutere dell’abrogazione delle norme transitorie finali della costituzione ma, nel pieno della notte, ne venne richiesto un rinvio. Io tornai a Londra per vedere il Re e relazionarlo personalmente riguardo i miei colloqui. Trovai un Sovrano provato e indebolito. Il nostro ultimo colloquio fu stringato ma essenziale. Lui era sdraiato su quel letto della London Clinic e mi disse: “Sergio, eccomi qui…” e aprì a fatica le braccia, quasi a simboleggiare quell’abbraccio che mai ci siamo dati nonostante i ventidue anni di stretta collaborazione. Lo informai sui colloqui avuti con i politici, sul fatto che ci fosse una mobilitazione dell’opinione pubblica a favore del suo rientro e che erano imminenti le riunioni del parlamento per la modifica costituzionale. Ovviamente dimostrò interesse per quanto espressogli ma alla fine mi chiese: “Secondo te ci saranno i Carabinieri?” La cosa mi colpì perché il Sovrano, nella sua estrema lucidità, nonostante quello che sembrava profilarsi uno sblocco della questione dell’esilio, dimostrava il desiderio di avere una presenza istituzionale come quella dell’Arma ai Suoi funerali. Mi congedai e non lo rividi più. Morì pochi giorni dopo a Ginevra. Il Parlamento non si riunì ovviamente più per risolvere la barbarie dell’esilio imposto all’ultimo Re.

I funerali ad Altacomba furono l’ultimo immenso bagno di folla riservato al Re. Gli italiani che tanto amore avevano ricevuto dal Sovrano, lo hanno ricambiato attraversando le alpi, sfidando la pioggia e venendo a testimoniare il loro affetto. Io stavo con i monarchici fuori e dentro l’abbazia. Quando mi è toccato rendere omaggio al feretro del Sovrano, facendo l’ultimo inchino, mi sono reso conto che un’era andava concludendosi. Mi sento un privilegiato nell’avere avuto a che fare direttamente con Umberto II e ricordarlo a trent’anni di distanza è stato un gesto non solo importante ma doveroso da parte nostra, considerando che la sua luminosa figura di Sovrano e di Italiano, tutt’ora sepolto all’estero, ancora attende la giustizia della Storia e dell’Italia.

Sergio Boschiero

 

 

Site Map